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Compiacenza

Giudice interiore, Reiki, Consapevolezza, Counseling Transpersonale

Compiacenza

Compiacenza o essere veri?

La compiacenza è una maschera che diventa pesante da portare in quanto non corrisponde al vero sentire. Nel mio lavoro spesso incontro persone che lamentano il disagio di essere troppo compiacenti, troppo disponibili, di non saper dire di no, di sentirsi in colpa se non assecondano gli altri e di dimenticare spesso i propri bisogni in nome della compiacenza.

Frustrazione, rabbia, un senso di non valore, amarezza, sono i sintomi che, se ascoltati, rivelano la pesantezza e l’esaurimento dell’abitudine alla compiacenza.

La maschera non ha più l’aderenza del passato, l’identificazione si sta scollando.

Più l’identificazione con la maschera è forte, più il comportamento è automatico. Anche se in questa situazione può emergere disagio, di solito viene messo a tacere con compensazioni, convinzioni e giudizi verso se stessi e gli altri.

A mano a mano che la compiacenza si fa pesante da sostenere, il conflitto interno tra dovere e essere diventa più evidente.

Questo conflitto di solito viene percepito come divisione tra due parti contrastanti: una che deve essere compiacente e l’altra che si ribella a questo.

I tre passi del cambiamento dalla compiacenza a essere veri

  • Il primo passo è riconoscere il conflitto.
  • Il secondo passo è riconoscere che il dover essere è sostenuto dal giudice interiore che spinge, in base a canoni imparati dal passato, a comportarsi in un dato modo per essere riconosciuti, per essere visti, appartenere, per paura di perdere l’amore, il contatto, di rimanere soli e di non farcela.
  • Il terzo passo è difendersi consapevolmente dal giudice e sostenere la propria verità, il proprio sentire cambiando attitudine esterna.

Interrompere un meccanismo di comportamento non è facile, richiede soprattutto assunzione di responsabilità verso se stessi.

La responsabilità vissuta come abilità a rispondere invece che reagire, diventa il focus, l’ancora, il punto di unione con noi stessi che scollega il robot abitudinario che è in noi.

Qualunque meccanismo ripetitivo è una difesa che abbiamo imparato nell’infanzia per sopravvivere, che nel corso del tempo si è affinata. Più lo guardiamo da vicino, più ci rendiamo conto della sua limitazione nel presente.

Il dover essere è l’ipnosi che ci tiene legati al passato, al venire meno a noi stessi per quello che siamo ora. Lo possiamo riconoscere dall’impatto energetico, emozionale, fisico che si presenta con una serie di sintomi di contrazione e tensione, come quando eravamo bambini spauriti costretti ad adattarci.

Da adulti Essere chi siamo, autentici, diventa pregnante, è la base del nostro ben-essere, è la possibilità di vivere nella pienezza, nella gioia, di tenere viva la nostra passione, vitalità, curiosità…

Imparare a mettere confini sani ci riporta all’Essere, alla maturità. A volte per dare un confine è necessario una forte assertività, in altre basta un gesto, un semplice No.

L’essere umano può andare oltre la sopravvivenza e entrare nella Vita mettendo se stesso al centro della propria esistenza, dando valore al proprio sentire, al proprio corpo, alla propria energia, alle emozioni e sensazioni, alla propria volontà, riconoscendo che il presente è un campo di possibilità e risorse.

La compiacenza è uno sbilanciamento verso l’esterno, ritornare in asse è tornare a Sé.